Paola Blasi ispira serenità, pacatezza, equilibrio.
Parlandole si ha la sensazione di venire trasportati in una dimensione poetica di spessore, profondità, trasparenza, di una persona conosciuta, familiare, e al giorno d’oggi è raro, frantumati come siamo a volte nella mancanza di senso e precarietà dei rapporti.
I suoi cieli mi hanno incuriosito per la drammaticità, i contrasti forti, esasperati, presagio di tempeste incombenti, di uragani improvvisi. Ma vi è sempre una luce potente che preme, che squarcia con improvvisi bagliori la dimensione drammatica del cielo. L’artista e il suo doppio, i due lati della stessa medaglia.
Ho percepito in queste opere una condizione umana al limite della tragedia finale, la cupezza incombente carica di antichi presagi, ma anche l’eterna speranza di rialzarsi, lottare e salvarsi in qualche modo.
E’ il nostro universo interiore martoriato da antiche ferite, lacerato da ineluttabili contraddizioni, tra il bene e il male, la luce e le tenebre, la vita e la morte.
Paola riesce a mettere in gioco queste energie duali, non è facile, e mentre ci guarda attonita, perplessa, ci chiede aiuto, ma tutti noi chiediamo aiuto, qualcuno che ci scaldi e ci dia fiducia.
Lascio a lei la parola, ci aiuterà a entrare nel suo mondo.
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Da quello che mi raccontano in casa, ho sempre disegnato.
Disegno, pittura, musica sono passioni di famiglia.
Mio nonno paterno faceva ritratti a matita che sembravano foto, mio padre dipingeva e suonicchia vari strumenti, mia madre è molto brava a disegnare volti femminili, di bambini e fiori.
Quindi si può dire che io sia sempre stata spronata all’arte.
Ricordo che anche durante le lezioni in aula o davanti alla TV, tendevo ad isolarmi con i “miei discorsi”, quelli tra me e il foglio. E non era un semplice modo per distrarmi, ma il canale attraverso il quale esternare la mia complicata interiorità.
Solo crescendo mi son resa conto di quanto poco io comunicassi con il resto del mondo, sia a livello verbale che gestuale.
Son sempre stata piuttosto taciturna, riservata, timida e poco esuberante, quindi il disegno prima e la pittura poi son stati mezzi di relazione e confronto, la maniera più naturale per parlare di me…
Soprattutto durante l’adolescenza, il periodo più difficile della mia vita, la pittura è stata un’importante valvola di sfogo, tramite la quale urlare in silenzio le angosce, i dubbi, le insoddisfazioni…
Soggetti ricorrenti di quel periodo sono figure femminili, un po’ androgine, magre e spigolose, caratterizzate da zone di forte ombra nelle carni scavate e rese con colori scuri e lividi che meglio rappresentano i sentimenti di quel momento.
Ora i temi son differenti: alle eteree figure - nelle quali ho proiettato me stessa e il cui figurativismo meglio esprime un discorso esistenziale, concentrato su quello che era il mio piccolo e chiuso mondo di allora - si son sostituiti paesaggi immensi, soprattutto cieli, spazi aperti, ariosi, leggeri, liberi…
Il genere è sempre figurativo, perché ancora non riesco a staccarmi del tutto dal “mondo reale”, e da quello che l’occhio fisico percepisce…Ma il reale è solo un pretesto: traggo spunto da ciò che ci circonda per realizzare di fatto qualcosa che corrisponde ad un mondo interiore, legato all’inconscio.
Un soggetto figurativo sì, ma costituito da elementi informali: sovrapposizioni di macchie, gocciolature, trasparenze, colature…
Per questo amo l’acquarello, nel quale lascio spesso alla goccia d’”acqua sporca” l’autonomia di scorrere mobile e libera, generando aree di colore trasparente, decise ma non forzate; e amo la ceramica raku, così informale, espressione di forza e leggerezza, il cui esito è spesso frutto della casualità.
La mia ricerca è volta ad esprimere forza e solidità attraverso elementi delicati ed evanescenti, in continuo sviluppo e l’attenzione è quasi interamente rivolta al colore. I toni sono soprattutto scuri, con grande predominanza dei viola e resi mediante la sovrapposizione di velature trasparenti che lasciano intravedere le stratificazioni cromatiche sottostanti.
Raramente utilizzo tinte piatte ed uniformi, che considero sorde e poco comunicative, mentre ritengo che le velature stimolino l’occhio a ricercare dell’altro oltre la superficie fisica e bidimensionale del sopporto.
Osservando qualsiasi quadro si ha l’immediata percezione dell’entità delle due dimensioni: altezza e larghezza, misurabili, uguali per tutti.
Quello che invece interessa a me è andare oltre la bidimensionalità, creando una sorta di profondità - che eluda il dato prospettico collegato alla visione - e in questo i colori scuri aiutano perché, non abbagliando e stancando l’occhio come quelli chiari, lo invitano ad esplorare, quasi inducendo chi guarda alla meditazione e all’introspezione.
L’opera si carica così della partecipazione dell’osservatore; ciascuno può ricercarvi e riconoscere qualcosa che appartiene al proprio bagaglio di esperienze o all’inconscio…e l’interazione dei due elementi da frutto ad un processo in continuo divenire…
Mi affascina moltissimo questo potere che ha la pittura di interagire col fruitore, di farlo sognare, fantasticare, un potere quasi onirico; è per questo che la preferisco alla scultura che - senza nulla toglierle - considero più statica e meno interpretabile perché comunque sempre inserita in un contesto reale, tridimensionale del quale noi stessi facciamo parte con la nostra fisicità e caducità; e il tema della transitorietà, della temporaneità è strettamente collegato al fare arte.
Credo che tutta l’arte sia permeata da una sorta di eternità, che qualsiasi opera sia elaborata con l’intento di durare, vincere il tempo, resistere ed esistere oltre la vita di colui che l’ha prodotta, che, lasciando una propria traccia, si garantisce una fetta si immortalità.
Poco tempo fa, un amico, parlando del mio operato, disse una frase che suona pressappoco cosi : “Lo sai vero di essere una privilegiata? Tu fai qualcosa di veramente tuo, puro prodotto del tuo essere…qualcosa che durerà nel tempo…io invece lavoro solo per gli altri…”
Al momento, forse con un pizzico di cinismo, gli risposi che mi considero privilegiata solo perché, avendo alle spalle una famiglia che appoggia la mia passione e mi aiuta in caso di bisogno, posso permettermi di fare l’artista…
In realtà so che il discorso non è assolutamente così riduttivo e materiale…sono ben consapevole del potere terapeutico dell’arte…l’ho provato sulla mia pelle…per fortuna…
Così, anche durante gli odierni momenti di crisi, dubbi e grandi interrogativi su tutto e tutti, è sempre l’arte quella che mi aiuta...lei da sola basta per dare un senso e trovare lo scopo… |